Fin quando un bambino vedrà la luce emettendo un vagito, dovrà essere considerato per sempre un uomo.
Una creatura dotata non solo di un corpo, ma di una sensibilità che nessun algoritmo o intelligenza artificiale, potrà mai decifrare. Molto spesso però, è questa ottimistica presunzione a creare in determinate situazioni relazionali, un humus favorevole all’errore. Se a questa condizione aggiungessimo una difettosa interazione causata soprattutto dall’assenza di ascolto attivo, dovuta ad una eccessiva sicurezza ed autoreferenzialità, i possibili malintesi potrebbero sfociare in errori irreparabili.
È il caso di una disciplina difficile e complessa come quella medica e al suo interno, del servizio pediatrico che, per ovvi motivi, lo è ancor di più. Non si vuol mettere in discussione l’importanza inconfutabile dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni, o la validità dei protocolli medici adottati; ciò che si chiede, almeno per il servizio sanitario, è che si instauri una maggiore collaborazione e complementarietà tra l’intelligenza artificiale ed i suoi derivati e la parte “emotiva” dell’uomo; tutto ciò che lo rappresenta emozionalmente e che difficilmente l’algoritmo riuscirà a captare e comprendere.
L’obiettivo è garantire ad ogni individuo, ma soprattutto ai bambini coinvolti in situazioni sanitarie, una maggiore sinergia ed efficienza tra sviluppo tecnico scientifico ed aspetto umano, in modo da relegare al minimo i possibili errori.